';

Ritratto di un Paese malato tra ponti rotti e aerei senza ali

Cadono ancora ponti Dieci ponti crollati in cinque anni

Lo puoi girare e rigirare come vuoi, questo Paese ti appare sempre lo stesso, come una mappa piena di guai, puntini rossi che indicano i posti del degrado messi in risalto soprattutto in questi giorni dalle calamità naturali che non ci hanno mai abbandonato. Diluvi con conseguenti allaganti di città, paesi e campagne, chi ne ha avuto di più, chi di meno, ma ad ognuno di noi è toccata la sua parte, sebbene minima. Venezia, la più bella del mondo, per certi aspetti, è sempre la più sfortunata per la sua posizione naturale che la espone al fenomeno dell’acqua alta con la quale i lagunari hanno imparato a convivere e dai cui danni a tirarsi fuori con fermezza, per tornare ad essere sempre pronta ad accogliere le migliaia di turisti che non possono fare a meno di mettere piede sulla piazza che porta il nome del Santo. Tutta la penisola è stata flagellata come non mai e non stiamo qui a fare l’elenco delle città, altrimenti finiremmo per sembrare di parte, come è successo già. A noi interessano i fatti, solo quelli, i fatti che non si possono smentire o cambiare in base al colore politico. Sono cose tangibili ma questa volta tinti di nero e di rabbia, perchè il lutto che portiamo è soprattutto demerito dell’uomo. Si, quel malvagio uomo che non si rende assolutamente conto che il disastro è buona parte frutto della sua scellerataggine, del suo disinteresse per la sua stessa terra che lo ospita. Un esempio per tutti è stato il MOSE, quel meccanismo di ferra che avrebbe dovuto fare da paratia e fermare l’acqua quando questa fosse diventata troppo alta, troppo pericolosa, tanto da trasformare la Basilica ed il resto in piscine. L’opera, ben finanziata o fatta finanziare, ha richiamato milioni a non finire e richiesto un tempo di lavori brevi. Invece, i massimi esponenti del governo veneto, con quel gran Galan sempre in prima fila, ha preferito approntare un bel comitato di affari con spartirsi mazzette su mazzette, quei soldi che andavo usati per l’opera annunciata come rivoluzionaria, ma che, al contrario, è stata giudicata già superata da altre più funzionali. Meno male che i furfanti sono in galera e speriamo che ci restino a lungo, dopo aver restituito il mal tolto. La coscienza dove la tengono? Si è persa nei fondali limacciosi della Laguna più bella d’Italia. Lacrime tante, ma anche una considerazione che rattrista i cuori spaventati: perchè mai si ripetono sempre i soliti guai; come sono stati impegnati i milioni stanziati più volte, tante più volte? Sembra una bestemmia dirlo, ma sono rimasti nei cassetti, dai quali estrarli come faceva Totò al fratello De Filippo. Altra vergogna di cui, poi, nessuno è colpevole, come nessuno si sente colpevole per non aver controllato i ponti, già in partenza costruiti male e mantenuti peggio, con le conseguenze che stiamo ancora vedendo. Qui ci sarebbe da armare un esercito del genio pontieri, dare in mano tutto a chi ha il polso duro. Cosa che si farà, prima o poi. E intanto lo Stato va in malora con le casse sempre asfittiche, vuote che nemmeno i balzelli colorati potranno mai rimpinguare, se poi, esse stesse escono a flotti per finanziare altre sciagure. 
La più ridicola, lo è sempre stata da quando è nata, è l’Alitalia, il pozzo di San Patrizio specialmente dei sindacati e della classe politica con il risultato di vederla sempre più priva di carburante. Da compagnia di bandiera è passata a bandiera dello sfacelo, con privilegi inauditi, duri a morire. Guardiamo al risultato: nessuno la vuole perchè è infetta, sa di truffa e può esplodere in continuazione, tanto che lo Stato, noi, dobbiamo sempre versare oboli su oboli, senza fine. Bisogna fare una sola cosa, tarparle definitivamente le ali e darla alla prima coraggiosa altra compagnia. Il governo non si arrende e chiama in causa ancora l’IRI, cioè sempre lo Stato. Sì proprio quell’IRI che, dopo una buona partenza, ha regalato industrie a tutti per quattro soldi, soprattutto ai tempi del regnante Prodi.
Siamo certi che risorgeremo, anche se per i terremotati ci vorrà ancora tanta pazienza prima di vedere le casette rifatte mentre, anche per loro, non si hanno segni degli aiuti inviati e che, dove lo fossero, la burocrazia si guarda bene di snellire i vari iter per l’avvio dei lavori. Gli Italiani, a parte buona parte della classe partitica, ha voglia di fare e strafare, ma poi sbatte la testa contro il muro del suo Stato, con poche speranze. Vogliamo ancora continuare ad allungare questo misero quaderno di lagnanze e dolori? Basta quanto abbiamo scritto, con flebile speranza che qualcosa arrivi alle orecchie di chi decide e anche alla coscienza di chi deve smettere di far finta di niente e gira la testa dall’altra parte: quella del baratro.
di Giovanni Labanca